Linguaggio inclusivo e bon ton

Argomenti del post

In nessun galateo si parla di linguaggio inclusivo. Eppure, il Bon Ton ha come scopo mettere a proprio agio gli altri: e per questo, oggi, non possiamo più prescindere da questo argomento, frutto di una nuova sensibilità che sta emergendo in questi anni. 

Una premessa è d’obbligo: il dibattito sul linguaggio inclusivo si è vivacizzato molto negli ultimi anni. Gli spunti sono variegati e molteplici, e al momento non ci sono soluzioni condivise da tutti su quale sia la forma migliore… Ma è positivo creare consapevolezza su questo tema e lavorare per una visione più inclusiva.

Imparare a scegliere le parole

La vecchia raccomandazione delle nonne “prima di aprire la bocca conta fino a dieci” è un consiglio sempre valido. Certi capitomboli con le parole si eviterebbero pensando bene prima a ciò che si dice.

Il principio guida è comunicare con un tono più positivo possibile. Il che non significa diventare Pollyanna, o correre il rischio di sembrare scemi. Semplicemente, si tratta di utilizzare l’intelligenza linguistica, e di elaborare messaggi che non siano mai puramente distruttivi. Un concetto-chiave è scegliere attentamente le parole che si usano, attingendo preferibilmente a universi semantici positivi. Dire rosso ciliegia e rosso sangue ha un effetto ben diverso, anche se il colore è sempre lo stesso.

La tecnica dei tre setacci – attribuita a  Socrate- è un altro valido “test” che ci permette di valutare l’opportunità di ciò che abbiamo da dire: se quello che vogliamo esprimere non è vero, o buono, o utile, allora forse è meglio tacere.

Usare il people first language

Un modo semplice per rendere il proprio parlato più inclusivo è usare il people first language, ovvero: distinguere la persona dai suoi attributi e comportamenti, favorendo una comunicazione positiva.

Ne avevo già parlato nell’articolo sul galateo della disabilità: diremo dunque “persona con disabilità” e non “disabile” proprio per non identificare la persona con le sue caratteristiche. Per lo stesso motivo, a un collega che ha commesso una leggerezza, diremo “ti sei comportato in modo irresponsabile”, che è molto diverso dal dire: “sei irresponsabile”. “Sei un ritardatario” qualifica la persona, “sei troppo spesso in ritardo” invece qualifica il comportamento.

Imparare a non sminuire mai gli altri (anche involontariamente) è uno degli aspetti chiave del linguaggio inclusivo. Prendere questa abitudine, pian piano crea nella nostra testa una rappresentazione più comprensiva verso tutte le sensibilità, che auspicabilmente si traduce poi in un atteggiamento inclusivo su tutti i fronti.

Non usare parole neutre in tono dispregiativo

Ci sono parole che di per sé sono neutre, ma che possono essere usate in modo dispregiativo, soprattutto attingendo all’immaginario degli stereotipi.
Tre in particolare le categorie a cui fanno riferimenti queste parole: i nomi etnici, le professioni e i diminutivi.

A volte ad esempio si usa il termine beduino, zulu o zingaro per indicare una persona rozza e incivile, così come si parla di spocchia francese o di rigidità tedesca (per non parlare degli stereotipi su noi Italiani…).
La stessa triste sorte tocca ad alcune professioni, diventate sinonimo – nell’immaginario comune – di caratteristiche poco desiderabili. Per esempio si usano camionista o carrettiere per indicare persone dalla parlata non propriamente raffinata…  Ma fanno parte della stessa categoria l’uso di “portinaia” per indicare una persona pettegola, “parrucchiera” o “shampista” per indicare una ragazza non molto acculturata, e simili.

Infine, parole normalissime possono ammantarsi di un tono spregiativo quando sono trasformate da diminutivi o da accrescitivi: signorotto, dottorone, attricetta, borghesuccio sono tutti degli esempi in questo senso. Per usare un linguaggio inclusivo, va fatta tabula rasa di tutti i casi citati sopra, che nascono da preconcetti mentali e favoriscono una visione stereotipata della vita e delle persone.

I tabù del linguaggio

Il tema del linguaggio inclusivo tocca tutti gli aspetti della vita sociale: orientamento sessuale, razza, età, etnia, condizione economica, religione e molto altro. L’argomento è oggi quanto mai scottante: nel mondo contemporaneo, è emersa chiaramente – soprattutto sui social, ma non solo – l’inclinazione a offendersi molto molto facilmente ( su questo tema suggerisco la lettura del libro di Guia Soncini, “L’era della suscettibilità”, che affronta proprio questa faccia delle medaglia).

Molto spesso, dunque, per pararsi le spalle, è saggio evitare alcuni argomenti, soprattutto se e quando si parla a una platea ampia, oppure con persone che non si conoscono bene.

Quali sono quindi i tabù del linguaggio inclusivo? Senza dubbio il tema del corpo. Parlare dei corpi oggi è come camminare su un campo minato: credetemi, ogni riferimento all’aspetto fisico è sempre fuori luogo, e la gaffe è dietro l’angolo. Esempi sparsi: i complimenti a  qualcuno che è dimagrito…salvo poi scoprire che ha perso peso per un problema di salute, o per un periodo difficile; signore che si sentono fare le congratulazioni per la “bella notizia” e invece la bella notizia è che hanno preso qualche chilo, localizzato sull’addome; complimenti su una chioma improvvisamente rigogliosa seguiti da confessioni a mezza voce sul fatto che beh, in realtà si tratta di una parrucca…
Insomma, ci siamo capiti.

Il tema dell’origina etnica è un altro terreno scivoloso.

La parola “di colore” per indicare le persone dalla pelle scura è considerata offensiva, mentre la stessa Michelle Obama utilizza nella sua autobiografia il termine black/neri.
Lo stesso vale per il concetto di Oriente, evidentemente occidente-centrico: gli orientali preferiscono essere chiamati asiatici, laddove non si conosca il loro paese d’origine.

E, proposito di Asia, attenzione ai spregiativi come “cinesate” per indicare cose di poco prezzo o alla definizione “ è scritto in cinese” per riferirsi a qualcosa d’incomprensibile.

Gender neutral speech

Infine il tema infuocato del gender neutral speech, ovvero l’uso di un linguaggio non sessista, che in una lingua – come l’italiano- che non dispone del genere neutro – diventa quantomeno sfidante.
Senza addentrarmi nel dibattito (se vi interessa consiglio di seguire la sociolinguista Vera Gheno e di leggere qui), ecco qualche consiglio pratico.
Un primo suggerimento è quello di utilizzare perifrasi per evitare il più possibile l’uso del maschile sovraesteso. Questa regola della grammatica italiana,  per cui, in un gruppo di genere misto, la concordanza è al maschile (ovvero: musei e chiese sono interessanti) è particolarmente invisa a chi ha cuore l’inclusività del linguaggio. Per cui, sempre più spesso, assistiamo ad escamotage pensati proprio per aggirarla: per esempio, invece di dire benvenuti a tutti (maschile sovraesteso per dire: a tutte e a tutti) si dirà: vi diamo un caloroso benvenuto.
Utilissimo ampliare il proprio vocabolario, per esempio per valutare di dire coniuge o consorte invece di marito/moglie.

Una discriminazione linguistica del tutto anacronistica e facile da evitare, per quanto ancora molto diffusa, è invece quella legata all’uso del signorina. So che ci sono donne che si sentono “anziane” a farsi chiamare signora… Ma dopo i 18 anni, siamo tutte signore: il nostro stato sociale non deve fare differenza (così come non lo fa per i signori, che nessuno si sognerebbe di chiamare signorini). In ambito lavorativo il signorina va evitato: alle professioniste ci si rivolge col titolo professionale (dottoressa, professoressa) o – nell’incertezza – con signora.
Ricevo moltissimi messaggi da donne medico/ingegnere/architetto che lamentano di essere sempre solo “signorine” quando i loro colleghi maschi sono “il dottore/i’ing./I’avvocato”. Ripetiamolo ancora una volta: sul posto di lavoro lo stato sociale non è rilevante, così come il genere e altri dettagli personali.

Per concludere, vorrei anche precisare che le parole sono sì importanti, ma non sono tutto.
Il linguaggio inclusivo dovrebbe essere il riflesso di una mentalità rispettosa e aperta, mai giudicante.
Se alle parole non diamo seguito con i fatti, i termini si svuotano del loro significato… E allora è fatica sprecata.

Se vuoi approfondire i temi riguardanti il galateo, è uscito il mio libro “Bon Ton Pop

Vuoi prenotarmi per uno speech o una formazione aziendale? Contattami

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.