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>MARKETING DELLA CATARSI

 

Colta come da una folgorazione, mi affretto verso l’uscita del negozio e scarico l’ammasso di vestiti che trasporto nelle braccia del securityman appostato alla porta: il che non è affatto carino, ma a mia parziale discolpa posso assicurare che quell’uomo aveva in tutto e per tutto le dimensioni di un armadio.

La mia meta è precisa: c’è una vecchia cartoleria qui a pochi passi, di quelle col bancone di legno ed i blocchi i carta di cotone per provare le stilografiche ed i pastelli. Questa volta però ho quasi fretta: non mi lascio distrarre dall’espositore di matite colorate, che in genere è meta di un piccolo pellegrinaggio, e mi dirigo sicura verso i vassoi con la  carta da lettere. Ne scelgo una di pergamena leggera, percorsa verticalmente da piccole strisce alternate, più o meno opache, visibili solo in controluce. Anche la penna la cerco attentamente: trovo una piccola stilografica da borsetta, interamente laccata di rosa. Mi sembra un colore ben augurante, ed è perfetta con un inchiostro seppia scuro, che fa sembrare tutte le parole romantiche come se fossero state scritte mille anni fa – e che oltretutto si intona alla perfezione alla sfumatura calda della carta che ho scelto.

Quando arrivo a casa, prendo il mio blocco e in un’ora butto giù tutto.

Subito mi inginocchio davanti a un basso tavolino – posizione che riservo aegli scritti ufficiali – per copiare la minuta sul foglio da lettera.

Uso tre fogli: lascio ampi margini sui quattro lati, centrando il testo come in un Editto Imperiale. Uso la calligrafia più ufficiale: elegante e chiara, senza svolazzi.

Poi  automaticamente, prendo il mio computer, lo accendo e ricopio una seconda volta il testo che ho appena vergato, aggiungo un indirizzo di posta elettronica che mi invento al momento e stampo qualche decina di volte.

Poi, per riprendermi dal travaglio di questo improvviso parto emotivo, mi immergo in una vasca di acqua bollente, finchè sento le palpebre che si fanno pesanti.

La mattina dopo il sole è alto, quando mi sveglio con lo stato d’animo di chi ha una missione da compiere.

Infilo in nella borsa i fogli stampati, la lettera chiusa nella sua bella busta coordinata, un rotolo di nastro adesivo e un paio di forbici.

Che questa storia finisca com’è ri-cominiciata.

Non voglio perdere tempo: prendo la metropolitana e in due fermate sono nel cuore del centro:  da qui inizia la mia passeggiata verso casa.

Ad ogni angolo, ad ogni fermata di autobus, tiro fuori lo scotch dalla borsa, taglio quattro pezzetti e incollo al provvisorio supporto:

 

 

Il silenzio vale più di molte parole.

Non era questo, pavido e incapace, l’Uomo a cui avrei consacrato tutta me stessa e la mia vita.

Era forte e fiero e deciso, e adesso scopro che non è mai esistito per davvero.

Eppure… Anche lui dovrà crescere, prima o poi. O forse no.

Ma la felicità era – così la vedo- lì a portata di mano, e sarebbe bastato allungare un braccio per prenderla.

Ma per lui non valeva la pena.

Meglio mentire, e promettere a cuor leggero, piuttosto che imparare a guardarsi dentro con onestà.

Meglio illudere e nascondersi, piuttosto che alzare la fronte ed accettare una sfida.

Non mi fa rabbia tuttavia: è troppo piccolo, e quello che perde così smisurato che lui non può averne che una vaga percezione.

Forse è stato questo il mio sbaglio.

Ma io vado avanti, invece lui non può liberarsi di se stesso. Perché non ne ha il coraggio, e preferisce le meschine certezze di una vita che non credo felice.

Io preferisco morire lottando.

E avrò quello che voglio, perché me lo merito, e perché me lo conquisto.

E dire che anche io avevo paura! Moltissima, e di un sacco di cose.

Della sua famiglia innanzi tutto, del loro riserbo che puzzava di distacco… e del mio desiderio di farne comunque parte.

Mi spaventava la sua superficialità, forse uno scudo per una sensibilità delicata o forse banalità pura e semplice.

Sopra ogni cosa, la sua vigliaccheria mi terrorizzava, forse perché intuivo dove ci avrebbe portato.

Ecco, siamo arrivati.

Eppure, ho sempre sperato nel gesto eclatante che lo avrebbe riscattato, spazzando via i dubbi e rivelandolo per la persona grandiosa che speravo lui fosse.

Ma la mia grande arroganza è stata punita.

Ho voluto metterlo alla prova, per scoprire che lui non è all’altezza.

Ancora una volta non ha combattuto.

Ha chinato la testa, mi ha detto che è giusto chiudere, perché non siamo più dei bambini.

Io No. TU SÍ.

           

 

                                                                                                  OnorevoleNeve@gmail.com

 

 

 

 

A pochi passi da casa, mi libero dell’ultima copia, imbucando la mia lettera a David: so già che lui non capirà, ma forse qualcun altro sì. E soprattutto, adesso ho le sensazione di non aver più niente da dire in proposito, e la vita ha il fascino misto ad appresione di un foglio bianco dove comincia una storia ancora da inventare.

 

 

 

 

 

 

 

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