Se l’Etichetta raccontasse tutto…

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L’anniversario del crollo del Rana Plaza diventa un’occasione per chiederci: da dove vengono i vestiti che indossiamo?

Il 24 Aprile del 2013 il centro Rana Plaza,  alla periferia di Dacca, in Bangladesh è collassato, inghiottendo un migliaio di persone. Lo stabile ospitava un gran numero di laboratori tessili, in parte fornitori delle catene fast fashion da cui acquistiamo così spesso&volentieri.

Dall’anno successivo, il 24 Aprile è diventato il Fashion Revolution Day, una giornata dedicata a promuovere la consapevolezza sulla provenienza dei propri indumenti.

L’invito è a portare gli abiti con etichette all’esterno, per questo giorno, e condividere le immagini sui social usando l’hastagh #whomademyclothes per favorire una presa di coscienza sull’argomento.

Secondo me però l’iniziativa più bella l’ha messa in campo Rethink, un’agenzia creativa canadese che – per sostenere il Fair Trade –  ha immaginato delle etichette che raccontassero davvero la storia del capo, e di chi l’ha prodotto.

Altro che Made in Cambodia.
Applausi.

100% Cotone. Fatto in Sierra Leone da Tejan.
Le prime volte che ha tossito sangue, l’ha nascosto alla sua famiglia. Non potevano permettersi un medico e lui non poteva rischiare di perdere il suo lavoro alla piantagione di cotone. Ma quando un giorno è stato vittima di un violento attacco, la cosa non ha più potuto essere nascosta. La diagnosi è stata: intossicazione da insetticidi. La mancanza di indumenti protettivi ha fatto sì che a 34 anni sia stato colpito dalla leucemia. Ha due figlie. Una delle due comincerà a lavorare in fabbrica l’anno prossimo.
L’etichetta non racconta tutta la storia

rethink maglione
100% Cotone.
Fatto in Cambogia da Behnly, nove anni.
Si alza alle 5.00 ogni mattina per andare alla fabbrica in cui lavora. È buio quando arriva, e sarà buio quando uscirà, la sera. Si veste leggero, perché la temperatura nella stanza in cui lavora raggiunge i 30 C°. La polvere gli riempie la bocca e il naso. Guadagnerà meno di un dollaro, per un giorno passato a soffocare lentamente. Una mascherina costerebbe all’azienda dieci centesimi.
L’etichetta non racconta tutta la storia.

 

100%Cotone.
Fatto in Bangladesh da Joya, che ha lasciato la scuola a dodici anni per aiutare la sua famiglia, composta da due fratelli e da una madre vedova da poco. Suo padre è rimasto ucciso in un incendio nella fabbrica di cotone in cui lavorava. Lei ora lavora nell’edificio proprio di fronte alla fabbrica bruciata. Qualcosa che le ricorda costantemente i rischi che corre ogni giorno.
L’etichetta non racconta tutta la storia.

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