Ceci n’est pas une blogueuse

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Per qualche curiosa ragione, ultimamente sembra che i fashion blogger, almeno dalle nostre parti, non gradiscano più essere etichettati come tali.

A dare il la, in tal senso, la più nota esponente della categoria, che già ad Aprile, secondo quanto riportato famoso articolo a firma di Simone Marchetti ( che non mancò, a suo tempo di scatenare grandi discussioni) avrebbe, tra le altre cose, chiesto ai brand con cui collabora di non essere più definita “blogger”.

Ovviamente, come si ci si può aspettare in un mondo che è fatto per seguire le tendenze, dopo la dichiarazione della Ferragni, è cominciata da parte delle blogger una corsa a scrollarsi di dosso quell’etichetta prima così cool, diventata all’improvviso ignominiosa.

Per cui, via di dichiarazioni, fino a toccare l’assurdo, con un magrittiano fashion blog battezzato proprio “don’t call me fashion blogger”.

Ma perché questo corto circuito semantico?

Forse, in primo luogo, perché le stesse protagoniste del fenomeno si sono rese conto che, almeno dalle nostre parti, i blog di moda, lungi dall’essere voci indipendenti nel desolante panorama di un giornalismo ostaggio del mercato pubblicitario, sono più che altro degli enormi monumenti all’ego delle legittime proprietarie.

In secondo luogo, forse, ha influito il curioso fenomeno per cui veline, starlette e altri improbabili personaggi hanno deciso di reinventarsi blogger di moda, con gran perdita di credibilità per tutta la categoria.

Al netto di tutto ciò, una constatazione è evidente: basta avere un blog, e scrivere di moda per essere, di fatto e di diritto, una fashion blogger.
Che piaccia, oppure no.

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