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ROMA KAPUTT MUNDI
Con il look’n’feel di una profuga armena mi accingo a partire per Roma.
La mia vacanza ha ufficialmente inizio non appena metto piede sul treno: cinque ore filate tutte per me sono merce rara, di questi giorni. Approfitto di questo tempo per saldare -almeno in parte- il debito di sonno che grava come un’ipoteca sul mio equilibrio fisico e mentale, minando seriamente la mia stabilità emotiva. Ritemprata dalla pennichella-extra arrivo nella città eterna, dove mi accolgono Claire e Mel, storiche amiche e compagne di bisboccia fin dagli ingrati anni del liceo.
Apperecchi ai denti, permanenti disatrose, tragiche cadute di stile: noi tre abbiamo proprio condiviso tutti i momenti bui di ogni adolescenza che si rispetti.
Ci accomuna persino l’ esperienza più deprimente di cui io abbia memoria: tutto un luglio afoso a studiare latino, morfologia e sintassi comprese, in aule studio deserte e senza ventilatori, mentre il resto del mondo se la spassa in spiaggia.
Quei momenti infausti sono però ormai solo un ricordo: grazie a dio adesso siamo tre donne, padrone di noi stesse e dell’Urbe intera.
Prendiamo possesso del territorio con una passeggiata cultural-consumista, che prevede visite ai monumenti del centro con pit stop ragionati nei negozi in via del Corso.
Ovviamente mi sento Audrey Hepburn in persona, e compro un cappello grande come un fungo atomico: a Piazza di Spagna facciamo le dive, e i turisti si fermano pure a guardarci.
Ceniamo in una piccola enoteca, un cosa informale a cui si aggiungono un po’ di amici: qualche bottiglia di vino accompagnata da chiacchiere ed assaggi, e decidiamo di spostarci in un locale radical-chic…
A dire il vero si tratta di un centro sociale, ma si sa, sono in vacanza, e poi dopotutto c’è sempre una prima volta. Entro un’ora – e un paio di drink- stiamo ballando come baccanti. La serata va avanti ad fino ad ora inoltrata, ed è quasi un peccato quando, su di noi accampati sul terrazzo di Claire, spunta pian piano la prima luce del mattino.
Alla fine però siamo sempre noi tre, e anche se siamo cresciute – e siamo senz’altro più fighe di un tempo- continuiamo a domandarci le stesse cose sulla vita: quale sia la scelta giusta, che si parli di politica interna o di correttori per le occhiaie, che si valutino opportunità di carriera o si diquisisca dottamente di sextoys.
Stese in spiaggia ci rigiriamo come polli su uno spiedo, e infervorate dalle infauste riviste di gossip a cui Mel non rinuncia in questi frangenti, passiamo in rassegna le nostre ultime avventure sentimentali. Dai dettagli piccanti ai drammoni esistenziali, non c’è un aspetto che non venga sottoposto ad un processo di simil-vivisezione, e noi giochiamo il ruolo degli scienziati pazzi.
Niente è come ce lo eravamo immaginate, ma a pensarci bene forse è meglio così: la vita ci ha tolto tonnellate di certezze, ma ci ha anche riservato un sacco di sorprese.
E così, se abbiamo perso o rinunciato per strada a cose che credevamo totalmente imprenscindibili, non ci siamo mai date per vinte e abbiamo sempre raccolto la sfida.
“Audaces fortuna iuvat” potrebbe essere il nostro motto, se fossimo una di quelle confraternite che si vedono nei college-movie americani.
E poi la responsabilità non ci spaventa, ma siamo capaci di goderci le piccole gioie della vita, che guarda caso, sono anche le più autentiche.
Come normali ed autentiche sono le cose che facciamo l’utima serata che passiamo insieme, una delle più divertenti&perfette che di cui io conservi ad oggi memoria.
Un drink in piazzetta con un gran gruppo di gente. Due birre,
Ceniamo tra amiche e deicidiamo che questa sera ci serve assolutamente un pizzico di avventura: ci imbuchiamo ad una festa di una regista-non-so-che dopo aver reclutato un paio di accompagnatori.
“Come andarsele a cercare”, riferito naturalmente alle figure di merda, potrebbe essere il sottotitolo della nostra incauta sortita. Quando facciamo il nostro ingresso trionfale in casa della famosa regista, si sono appena abbassate le luci, e la festeggiata sta soffiando su una torta con quaranta candeline.
Vorremmo di farci piccoli -anzi invisibili- ma siamo sei, troppi, e abbiamo tutti gli occhi ormai puntati addosso; senza contare che è difficilissimo mimetzzarsi, quando gli altri invitati – quindici in totale- sono attori conosciuti o consanguinei della festeggiata.
Ometto la parte imbarazzantissima delle presentazioni con la padrona di casa,
Ci facciamo delle grasse risate, mentre stipati nella macchina di Claire raggiungiamo gli altri amici in un nuovo locale radical-chic. Il concerto è reggae, e l’umore pure, rilassato and take it easy come poche volte. Quando i ritmi si fanno più latini, anche l’atmosfera muta di tono e gli amici di turno si trasformano nei flirt del momento.
Alle sei del mattino stiamo ancora ballando
Mi viene da chiedermi come sia possibile.
Comunque, quella notte non dormiamo nemmeno un secondo, e poi ricominciamo -come niente fosse- una nuova giornata.
Per me sono anche queste le piccole gioie della vita.