Ogni cosa a suo tempo

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Evviva.
Negli ultimi giorni, sia Burberry che Tom Ford hanno annunciato grandi cambiamenti per le prossime sfilate. In sostanza, snelliranno di molto, mandando in passerella collezioni no season che saranno subito disponibili nei negozi.

Sono felice che qualcuno tra i big abbia finalmente prestato orecchio all’ l’inequivocabile scricchiolio che, da qualche anno ormai, giunge sinistro dai palchi delle fashion week.

Il sistema delle sfilate come lo conosciamo oggi è nato negli anni ’50: è stato Dior, con il suo solito fiuto per gli affari, a ideare la logica delle stagioni.
Con il tempo, le sfilate si sono strutturate in fashion week e le passerelle si sono evolute in fashion show: eventi sempre  più spettacolari, non più riservati (e interessanti) solo per gli addetti ai lavori.

(Oggi – è notizia fersca – i biglietti per le sfilate della NYFW sono addirittura in vendita, completi di incontro con lo stilista.)

L’avvento di Internet, con la sua incredibile pressione mediatica ( e vabbè, anche le logiche commerciali) hanno spinto questo sistema al limite:  con l’introduzione delle linee Cruise (che anticipa la P/E) e della Pre-Fall, alla metà degli anni 2000, le stagioni da due sono diventate quattro.

Aggiungiamo poi che ogni brand ha la sua seconda linea, la collezione uomo e alcuni pure la couture: i conti sono presto fatti. Una casa come Armani presenta ben più di dieci collezioni l’anno.

Della pressione a cui sono sottoposti gli stilisti se n’è scritto a fiumi, dopo lo sbrocco di Galliano (che gli è costato la poltrona da Dior) e in occasione della ben più tragica fine di Lee McQueen.
E l’argomento è torntato regolarmente alla ribalta, anche in tempi recentissimi, in seguito a famosi divorzi tra designer e maison (ciao Raf, ciao Alber e Alexander ).

Adesso, finalmente, dopo la mossa di Bruberry e Tom, si comincia a parlare anche della pressione a cui siamo sottoposti noi comuni mortali, che veniamo inondati da una marea di immagini (e prodotti) a cui è impossibile stare dietro.

Finalmente si comincia a capire che forse un po’meno è meglio: io li avevo chiamati i reducetariani della moda, oggi WWD parla di The consumer shift.

In ogni caso, spero vivamente che la cosa funzioni: se dio vuole si allinea anche il retail, e finalmente troveremo nei negozi cose della stagione giusta.

Perché non so voi, ma io di cappotti in cachemire ad agosto (o di slip dress a febbraio) ne ho le tasche piene.

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